Malattia di Charcot Marie Tooth
“per 3 anni non sono riuscita neanche a parlarne con gli amici”
“per 3 anni non sono riuscita neanche a parlarne con gli amici”
La malattia di Charcot-Marie-Tooth (CMT) è una polineuropatia sensitivo-motoria dovuta all’alterazione di geni, alcuni dei quali ancora non noti, responsabili della formazione e/o della funzionalità dell’assone o della mielina, costituenti dei nervi. In particolare, la malattia di Charcot-Marie-Tooth di tipo 2A (CMT2A), il tipo più comune di CMT2, è causata da mutazioni nel gene della mitofusina 2 (MFN2).Il gene MFN2 codifica per una proteina mitocondriale localizzata nella membrana esterna coinvolta nella fusione mitocondriale e nel legame fra i mitocondri e il reticolo endoplasmico a livello mitocondriale.
Luisa Perrero Porzio, referente dell’Associazione “Progetto Mitofusina2” per Torino, è la mamma di Giovannella, una ragazza affetta, fin dal primo anno di età, da CMT2A.
Ci racconta l’esperienza di “convivenza” della sua famiglia con questa malattia molto rara.
Foto di Roberto Del Bo
La testimonianza di Luisa Perrero Porzio:
Giovannella è nata apparentemente sana. La sua malattia genetica all’inizio non presentava nessuna manifestazione. Dopo un anno, quando avrebbe dovuto iniziare a stare in piedi, abbiamo notato una debolezza alle caviglie. E’ iniziato il nostro peregrinare da un centro all’altro in cerca di risposte.
E’ un dolore immenso, una sensazione devastante che non si può augurare a nessuno. Avere una bambino malato e non sapere che cosa abbia è tremendo. Per 3 anni non sono riuscita neanche a parlarne con gli amici. Sono passati 13 anni senza diagnosi e questo ci ha devastati.
Ci sentivamo come in un tunnel senza via d’uscita. Nessun medico riusciva a darci una chiara idea di cosa potesse essere, assistevamo all’avanzare della patologia impotenti.
Grazie ad un incontro casuale a Lourdes con un’altra famiglia toscana con 2 bambini che presentavano gli stessi sintomi, seguiti dal prof. Bresolin del Centro Dino Ferrari. Abbiamo incontrato il prof. Bresolin, che, dopo un anno di indagini e approfondimenti, ci ha comunicato la diagnosi. Finalmente sapevano la malattia di Giovannella.
La storia dell’incontro con la famiglia Tozzi a Lourdes è stato per noi una salvezza.
Dopo tanto peregrinare invano, mia mamma decide che dobbiamo andare a fare un pellegrinaggio a Lourdes e portare Giovannella. Io non ci volevo assolutamente andare. Non avevo più speranze. Mi sono fatta convincere e siamo partite. Era un pellegrinaggio di bambini. Vi erano circa 3000 bambini ed è stata un’esperienza molto forte. Ho pianto per tutto il tempo. In 13 anni non avevamo mai incontrato nessun caso simile a Giovannella e Lourdes stava confermando ormai questo dato di fatto.
Ma l’ultimo giorno, davanti alla grotta della Madonna di Lourdes, accade un incontro meraviglioso.
Arrivo in ritardo alla messa, mi infilo con il passeggino tra la gente, avevo perso qualsiasi speranza di trovare risposte, ormai stavamo andando via. Ad un certo punto alzo lo sguardo e vedo due bambini con lo stesso passeggino, gli stessi tutori che aveva Giovannella. Guardo le loro manine, erano uguali a quelle di Giovannella : chiedo e mi indicano i genitori, due persone altissime e stupende, tanto da pensare fossero stranieri. Mi avvicino e scopro che provengono dalla Toscana. Scambio subito poche parole con la mamma Annamaria, e parliamo molto in fretta, camminando , dato che avevamo il treno del ritorno da lì a breve. Io, emozionata, riesco a proferire solo poche parole: “noi non abbiamo mai incontrato nessuno con la stessa forma di malattia” e loro replicano “abbiamo appena avuto la diagnosi dal professor Bresolin del Centro Dino Ferrari”. Rimango incredula, non avevamo mai sentito parlare del prof. e del Centro Dino Ferrari.
In quel momento avevo in tasca solo un foglietto da taccuino, che poi ho incorniciato, e una matita azzurra che scriveva anche male. Ho scritto velocemente il nome di Annamaria, il suo numero di telefono e il nome del prof. Bresolin.
Ho conservato quel foglietto nel portafoglio per mesi e dopo l’estate mi sono decisa a contattare il Centro Dino Ferrari. Non nutrivo speranze, forse non volevo illudermi!
Arrivati al Centro Dino Ferrari, abbiamo incontrato un angelo, il prof. Bresolin, una persona di una umanità indescrivibile. Il prof. si è fatto subito carico del nostro problema. Dopo un anno dalle indagini il prof. Bresolin ci chiama per comunicarci la diagnosi. Lui stesso era molto stupito. Non sapeva come definire questo avvenimento, un caso o un miracolo? Avevamo trovato altre persone affette da CMT2A, malattia rarissima. In mezzo a migliaia di persone, noi, 1:100.000 (la statistica della malattia di CMT2A), ci siamo ritrovati.
La prima cosa che il prof. Bresolin ci ha detto è che questa malattia non ha cura, ma è curabile bisogna… solo trovare la cura…. Da quel dì la nostra vita è cambiata!
Dopo il primo incontro, noi e la famiglia Tozzi non ci siamo più lasciati. Tra le due famiglie c’è un legame forte che gode della benedizione della Madonna di Lourdes. Proprio la statua della Madonna di Lourdes è la prima cosa che incontri quando arrivi al Centro Dino Ferrari. Anche nel sito web dell’Associazione Progetto Mitofusina2 abbiamo voluto inserire la sua immagine.
Abbiamo la fortuna di avere un figlio più grande, sano, e quindi, quando erano piccoli, avevamo un’altra parte di vita da portare avanti. Questo ci ha aiutato e motivato. Non potevamo essere focalizzati solo su Giovannella, benchè lei avesse più bisogno di cure.
Anzi, abbiamo dovuto fare molta attenzione a questo bambino, perché lui ha sofferto molto anche del fatto di avere una sorellina con la quale non poteva giocare allo stesso modo con cui giocava con gli altri bambini.
I bambini, che hanno fratelli o sorelle con disabilità, non vanno lasciati da soli perché possono avere serie ripercussioni.
Ci siamo fatti aiutare da una bravissima psicomotricista che ha supportato tutta la famiglia, anche i nonni, nel percorso di accettazione di ciò che ci stava accadendo. Ci insegnava come comportarci e cosa dire in famiglia. Accettare gli ausili come passeggini speciali, tutori, carrozzine che servivano a Giovannella a muoversi, non è stato facile.
Ricordo che il passaggio alla carrozzina è stato tremendo, abbiamo impiegato un anno di lavoro per accettarla e farla accettare alla bambina. Lo sforzo che facevamo era di far passare con leggerezza il messaggio che tali supporti erano bellissimi, perché le davano l’opportunità di “muoversi”. Si cercava di farglieli vivere in maniera divertente.
Giovannella, crescendo, ha imparato a convivere con i suoi tutori colorati, non aveva problemi a mostrarli perché e lei servivano. Ha maturato l’atteggiamento giusto!
Bisogna farsi aiutare!
Essere accompagnati da psicologi che aiutino la famiglia a fare i passi giusti, in modo che il bambino sia consapevole di quello che ha. La verità gli va raccontata in un linguaggio alla sua portata. A scuola è importante avere maestre brave e sensibili a queste problematiche. Insegnanti che riescano a introdurre una didattica inclusiva, che guidino gli altri bambini ad accettare una situazione diversa , in modo che gli ausili come la carrozzina e i tutori siano visti come normali strumenti, ed il fatto di dover aiutare il compagno sia qualcosa di normale. E se è necessario, bisogna avere il coraggio di cambiare scuola qualora l’ambiente e le insegnanti non siano adatti a gestire situazioni diverse.
Una maestra valida è una maestra che ha una sensibilità spiccata e coinvolge tutti i bambini.
Mi piace raccontare un episodio che per noi è stato emblematico. A scuola di Giovannella si svolgeva il corso di musica. Tutti i bambini suonavano il flauto. Giovannella avendo le mani deboli non riusciva. La maestra, senza che le dicessimo nulla, un giorno mi avvicina e mi dice che nella classe si sarebbe formato un gruppo musicale misto, una parte avrebbe suonato il flauto e una parte lo xilofono.
Ecco, una maestra valida è colei che con sensibilità trova soluzioni inclusive.
Ecco, la nostra vita è piuttosto complicata: le cose che per gli altri sono semplici, per noi sono difficili, ed occorre ogni giorno studiare qualche soluzione ad un problema nuovo. E’ un lavoro duro, faticoso e doloroso, ma si può fare. Bisogna sempre avere l’occhio sul bambino/a e trovare per lui/lei le soluzioni giuste.
Senza dimenticare il sorriso ed un pizzico di allegria!
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