Parkinson e caregiver: il ruolo indispensabile e l’amore incondizionato di chi assiste il malato

Mariangela è una di quelle persone che, già dal primo contatto, riescono a trasmetterti fiducia e dolcezza. Il suo fisico minuto e il suo sguardo trasparente nascondono una forza che, solo conoscendo la sua storia e quella di suo marito, può davvero essere compresa. Mariangela, infatti, si prende cura del suo Paolo, affetto da 18 anni dal morbo di Parkinson. Una malattia che, nel corso degli anni, ha portato la coppia ad avere a che fare con delle grandi difficoltà che hanno letteralmente stravolto le loro vite.

“Una patologia come il Parkinson ti mette davanti a una serie di complicazioni di diverso tipo. In primis – racconta Mariangela –, è difficilissimo gestire i suoi momenti di “on” e “off”. Cinque volte al giorno, infatti, un po’ prima e dopo la somministrazione della terapia, il suo corpo si blocca letteralmente. Il suo cervello è attivo, ben cosciente, ma non riesce a inviare ai muscoli l’impulso per muoversi. Dopo un tempo molto variabile, con fatica, estrema lentezza e solo a seguito di sollecitazioni esterne, riesce a mobilizzare gli arti un po’ alla volta. Questa situazione di blocco dura 6-7 ore nell’arco della giornata e richiede la presenza di una persona che lo aiuti in tutto. Naturalmente, in questi momenti, che il più delle volte avvengono nelle stesse ore del giorno, dobbiamo fare in modo di non essere fuori casa. I nostri appuntamenti, le nostre passeggiate o le visite mediche, quindi, devono sempre essere programmati nei probabili momenti di “on”, durante i quali Paolo si muove in autonomia, purché sempre accompagnato.

“Questo è quanto accade di giorno – continua Mariangela-. Ma i veri momenti critici arrivano dalla mezzanotte circa in poi, quando per Paolo inizia la fase di sonno frammentato e neanche la terapia riesce ad avere effetto sul suo organismo. Ho perso tantissime ore di sonno per provare ad alleviare il suo dolore alla schiena, al collo, alle gambe irrigidite, rigirandolo nel letto. A un certo punto, però, ho dovuto cedere e chiedere aiuto. Dallo scorso anno, 4 volte alla settimana, una persona mi supporta di notte, permettendomi di recuperare le forze ed essere pronta ad affrontare la fatica del giorno dopo”.

Sono tanti i problemi che un caregiver deve affrontare e, dalle parole di Mariangela, il bisogno più grande che traspare è quello di non sentirsi soli.

“Essere parte di una comunità – spiega – è fondamentale sia per me, sia per Paolo. Confrontarsi con altri uomini e donne affetti dalla sua stessa patologia è importante per lui, quanto per me lo è condividere la mia esperienza e le mie difficoltà con chi si prende cura di persone malate. Sapere che non siamo soli e avere dei suggerimenti da chi ci è già passato è un grande aiuto per noi”.

“Un supporto enorme – racconta Mariangela- lo abbiamo incontrato nell’associazione A.P.M. (https://www.parkinson-lombardia.it/), all’interno della quale, abbiamo frequentato e tuttora frequentiamo il corso di Qi Gong e partecipiamo agli incontri promossi. Negli ultimi anni, siamo stati piacevolmente colpiti dalle attività organizzate da Moov-it (http://moov-it.it/), una no profit che organizza attività motorie “adattate” (Pilates, yoga, tai-chi, ecc.) e laboratori (voicelab, arte terapia ecc.) rivolti a persone che soffrono di problematiche fisiche legate a patologie cronico degenerative, soprattutto di natura neurologica, con particolare attenzione alla malattia di Parkinson e ai disturbi del movimento.  Abbiamo anche partecipato a vacanze di gruppo, da loro organizzate, riscoprendo la bellezza di divertirsi e condividere esperienze insieme ad altri”.

Fondamentale, poi, è il supporto della famiglia: Mariangela e Paolo hanno 4 figli e 5 nipoti che adorano i loro nonni i quali, nonostante tutte le complicazioni, riescono anche a prendersi cura di loro.

“Mio marito con la sua malattia pensa di non poter donare amore ai suoi nipotini. Un giorno la più piccola ha chiesto alla sua mamma di essere accompagnata a casa nostra perché desiderava tanto le coccole del nonno. Paolo era incredulo: non riusciva a credere che quelle carezze che a malapena, con la sua rigidità muscolare, era riuscito a farle qualche giorno prima, avessero potuto essere per lei una coccola. È incredibile come i bambini siano capaci di dare amore, di trasmettere tanta voglia di vivere”.

È proprio l’aspetto psicologico, da quanto racconta Mariangela, la più grande barriera da affrontare quando si vive una patologia neuro-degenerativa come il Parkinson. La componente depressiva è spesso presente, così come ansia e apatia. E’ fondamentale contrastare il più possibile queste tendenze che rischiano di portarlo a isolarsi, attraverso una vita il più possibile movimentata, ricca di esperienze e relazioni sociali che lo motivino a non lasciarsi andare.

L’importanza di “fare rete”, quindi, è essenziale sia per il malato, sia per il suo caregiver. Mariangela ci ha raccontato che all’inizio di questo percorso aveva conosciuto un’altra donna che si occupava del marito affetto dalla stessa patologia di Paolo. “Mentre le raccontavo che avevamo da poco ricevuto la diagnosi di Parkinson, lei mi disse: «Stai attenta, perché questi malati ti succhiano il sangue un po’ alla volta, senza che te ne accorgi». Lì per lì non capii, ma con l’andar del tempo ho compreso quelle parole: noi caregiver rischiamo di annullarci completamente, di non dare più alcuna priorità ai nostri bisogni, di non prenderci più i nostri spazi. Me ne rendo conto ogni giorno di più. E’ importante non perdersi di vista”.

“Se potessi esprimere un desiderio – conclude Mariangela– chiederei un giorno tutto per me una volta ogni tanto. Non spesso, solo una volta ogni tanto. E se invece mi chiedete delle necessità di Paolo, direi che per lui è sempre più importante avere la possibilità di confrontarsi con altri malati di Parkinson per condividere con loro difficoltà e strategie e per comprendere che spesso siamo noi a porci più limiti di quanto non faccia la malattia stessa. Il viaggio è più lieve se lo si compie in compagnia.”

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